Post in evidenza

AVVISO TRASFERIMENTO BLOG:

Leggi Articoli completi sul nuovo sito:                    nicovendome.altervista.org/   nicoven...

TRADUTTORE GOOGLE

18 gennaio 2014

Keynes in Valsusa: bignamino NoTav per non valsusini.




Keynes in Valsusa: bignamino NoTav per non valsusini 

Secondo i proponenti, è indispensabile iniziare immediatamente i lavori della nuova linea AV/AC Torino-Lione (NLTL) per evitare l’imminente saturazione della linea storica e il conseguente isolamento del Piemonte dall’Europa.

 Il costo è in linea con gli standard europei. In ogni caso, la NLTL genererà benefici ben maggiori del costo: lo sviluppo dei traffici est-ovest e la crescita economica della nazione dipendono da quest’opera, non a caso definita “strategica” e quindi da realizzare con ogni mezzo, se necessario anche con l’esercito. La NLTL migliorerà la vita degli abitanti della Valsusa perché comporterà uno spostamento modale dalla strada alla ferrovia che consentirà di togliere 600.000 camion dalla strada. In ottica keynesiana, alla NLTL va inoltre riconosciuto un ruolo sociale salvifico perché, al di là della sua utilità intrinseca, “darà lavoro” per almeno 20 anni. Questo report intende mostrare, sulla base dei dati dei proponenti o accettati dai proponenti, che tutte queste affermazioni sono false, e proporre alcune possibili alternative di investimento. PARTE PRIMA: Flussi di traffico, costi e benefici 1. A chi interessa il corridoio 5 “Lisbona-Kiev”? Una linea tra mito e realtà. Tanto per cominciare, non c’è né Lisbona né Kiev. Il Portogallo è sull'orlo del fallimento e la Spagna è sulla stessa strada, grazie anche alle costosissime linee AV (45 miliardi di euro!), che hanno dato la botta definitiva al governo Zapatero - benché il costo/km delle linee AV spagnole sia appena un quinto delle corrispondenti linee italiane. L’Ucraina, prossima anch’essa alla bancarotta, a tutto pensa meno che al corridoio Lisbona-Kiev. L’unico segno di interesse per la linea proviene da due regioni adiacenti: Piemonte e Rhone Alpes. Tuttavia tra queste regioni esistono traffici di prossimità che nulla hanno a che fare col mitico “corridoio 5”. Tecnicamente, si può parlare di “corridoio” quando la percentuale di traffico in transito è rilevante (>50%) rispetto al traffico totale. Ebbene, i dati Alpinfo2 mostrano che attualmente la percentuale di traffico in transito si aggira intorno al 10% su strada e allo zero % su ferro3: tutto il resto, cioè il 90% su strada e il 100% su ferro, è traffico di prossimità Italia/Francia4. La rinuncia di Lisbona e Kiev non ha scoraggiato i proponenti, che anzi hanno arditamente rilanciato: a ovest l’arch. Virano (Commissario Straordinario del governo per la realizzazione della nuova linea e presidente dell’Osservatorio tecnico) propone come terminal Casablanca o Algeri al posto di Lisbona, attraverso un tunnel sotto lo stretto di Gibilterra (il tutto all’insaputa di Spagna, Marocco e Algeria); a est Piero Fassino, altro pasdaran dell’opera, propone come terminal Mosca al posto di Kiev (il tutto all’insaputa della Russia, della Slovenia e degli altri stati che dovrebbero essere attraversati dalla linea). Come dire che il “corridoio” non esiste nemmeno come tratto di pennarello sulla cartina: sopravvive solo nell’immaginario politico-mediatico-finanziario. 2. Traffico passeggeri e merci tra Italia e Francia In tutto il mondo le linee AV sono riservate ai passeggeri. Tuttavia, i flussi di traffico passeggeri sulla direttrice Torino-Lione sono lontanissimi da un ordine di grandezza che possa giustificare una nuova linea AV: meno di 2000 passeggeri/giorno, per di più in lenta ma continua decrescita da circa 15 anni. Per confronto, la Tokio-Osaka ha 300.000 pass/giorno, e il TGV Atlantique 40.000 1 Il rapporto prende in considerazione soltanto gli aspetti di interesse generale, rinviando ad altri articoli per gli aspetti di interesse locale. Autore: Guido Rizzi (rizzi7798@gmail.com), già docente di Fisica Matematica al Politecnico di Torino, attualmente collaboratore tecnico della Comunità Montana. 2 I dati Alpinfo sono dei conteggi che vengono comunicati dai gestori dei valichi all’ufficio federale dello sviluppo territoriale svizzero, e sono accettati da tutti, inclusi i proponenti, come dati ufficiali. 3 Diverso il caso di Ventimiglia, dove esiste un rilevante traffico in transito da e verso la penisola iberica (circa il 60% di transiti), che non ha alcun motivo per essere dirottato sulla direttrice Torino-Lione 4 per traffici di poche centinaia di km (le piattaforme di interscambio tra strada e ferrovia - Aiton e Orbassano - distano tra loro soltanto 175 km) la ferrovia non è competitiva rispetto alla strada, nemmeno con ferrovie molto più efficienti delle attuali. Ciò dipende da vari fattori: scarsa funzionalità delle aree intermodali, alto costo del biglietto nonostante i sussidi statali (oltre il 60% del costo è a carico dello stato), miglioramenti della rete autostradale, progressi nel settore degli autotrasporti (per esempio, gli attuali TIR Euro5 inquinano 20 volte meno dei TIR Euro1 degli anni ’90).  2 pass/giorno: questo ordine di grandezza può essere riguardato come una soglia numerica al di sotto della quale una linea AV passeggeri, ai costi attuali, è economicamente improponibile. A questo punto i proponenti hanno cercato un altro motivo per giustificare la nuova linea: le merci. E pazienza se per le merci l’alta velocità è un parametro praticamente irrilevante rispetto ai tempi di carico, scarico, stazionamento, ecc. Le merci arrivano per lo più dall'est e si muovono nel nostro continente sull'asse nord-sud sfruttando il sistema portuale, mentre sull’asse est-ovest sono in lieve ma costante diminuzione da 16 anni, sia su ferro che su gomma.  Con riferimento al 2012 (ultimo dato Alpinfo), la diminuzione di traffico è del 16% rispetto al 1997, e del 14% rispetto al 2004 (anno di riferimento di LTF). Il motivo è ben noto: Italia e Francia sono due economie mature tra cui prevalgono scambi di sostituzione, che lasciano sostanzialmente immutato il flusso materiale di merci indipendentemente dal buon andamento auspicato dagli economisti7 dei PIL dei due paesi. La flessione dei traffici dipende da diversi motivi, tra cui il deludente andamento del PIL nell’ultimo decennio e la tendenza alla progressiva smaterializzazione delle merci: si scambiano più bit e meno cose. La curva in figura (detta “logistica”) rappresenta l’evoluzione temporale dei flussi di traffico in un ambiente destinato ad avviarsi, in assenza di guerre o catastrofi naturali, alla saturazione. Inizialmente, quando i mercati sono molto lontani dalla saturazione, la curva ha un andamento esponenziale: questa era la situazione ai tempi di Cavour (tunnel storico del 1871) o dopo la seconda guerra mondiale. Poi gradualmente la crescita rallenta, e alla fine la curva si adagia sull’asintoto orizzontale quando i mercati diventano saturi e il flusso di merci stazionario. Si pensi ad esempio al mercato automobilistico in Italia e Francia, cfr. Tartaglia [6]. In Italia ci sono più di 36 milioni di autovetture per 60 milioni di abitanti, e in Francia la situazione non è molto diversa: quali che siano le politiche industriali delle case automobilistiche in competizione e l’andamento del PIL dei due paesi, è evidente che il numero totale di veicoli nei due paesi ha da gran tempo raggiunto il livello di saturazione. Considerazioni analoghe valgono per elettrodomestici, derrate alimentari e in generale le tipiche merci da ferrovia. I dati storici della tab.1 mostrano che, per quanto riguarda i traffici est-ovest (ovvero Italia-Francia), intorno all’anno 2000 è stato raggiunto l’asintoto (circa 50 Mt/anno), dopo di che è iniziata la flessione per una serie di motivi ben noti: la progressiva smaterializzazione delle merci, la delocalizzazione delle attività produttive in altri paesi (effetto della globalizzazione), l’aumento della disoccupazione, l’esplosione del debito, l’impoverimento della classe media, il progressivo esaurimento delle risorse, eccetera. In tutto ciò la presunta carenza di infrastrutture ferroviarie o autostradali non ha alcun ruolo: e tuttavia i proponenti continuano a mitizzare il ruolo “strategico” delle infrastrutture e ad usare il modello di espansione esponenziale illimitata anziché il normale modello logistico, come se il numero totale di automobili, elettrodomestici, derrate alimentari 5 LTF, ovvero “Lion-Turin Ferroviaire”, è la società responsabile degli studi di progetto e realizzazione dell’opera 6 L’Osservatorio Tecnico, istituito nel 2006 e presieduto dall’arch. Virano, nelle intenzioni dei sindaci della valle doveva essere la sede ufficiale di confronto tecnico per valutare se - ed eventualmente come - realizzare l’opera, con esperti designati da tutti gli enti territoriali interessati; nelle intenzioni del governo, invece, era essenzialmente un tentativo di millantare un inesistente coinvolgimento della popolazione e degli enti locali. Nell’Osservatorio il “se” non è previsto: è consentito, e anche sollecitato, il dialogo sulle modalità di realizzazione dell’opera, ma non sull’opera. L’opera è “strategica”: un dogma di fede da non mettere in discussione, pena l’allontanamento dall’Osservatorio 7 M.Deaglio (LaStampa 5/9/13) invoca una lunga crescita esponenziale del PIL all’improbabile tasso del 3% annuo  3 derrate alimentari e quant’altro potesse aumentare indefinitamente in un ambiente finito con popolazione stabile. Naturalmente anche i traffici nord-sud seguono la normale curva logistica, ma sono più intensi e vivaci perchè le merci arrivano da paesi emergenti in piena espansione: eppure anche questi traffici hanno da tempo esaurito l’iniziale fase di espansione esponenziale e sembrano già avviati alla saturazione. Infatti, da una decina danni sono stazionari intorno ai 100 Mt/anno (tra il San Bernardo e il Tarvisio), cfr. graf. 5b. Le previsioni LTF di un incremento esponenziale dei traffici terrestri est-ovest non hanno alcun fondamento nell’economia reale. In particolare, le previsioni di un incremento esponenziale dei traffici nei prossimi 40 anni (per i dettagli v. la sez. successiva) non tengono conto nè dell’andamento dei traffici negli ultimi 15 anni, in costante flessione, nè della prossimità del picco del petrolio8, che comporterà l’inevitabile contrazione di tutti i traffici su scala globale. Non sappiamo cosa succederà nell’economia mondiale, fondata sul petrolio9, quando il petrolio a basso prezzo comincerà a scarseggiare10. Sappiamo però con certezza che la disponibilità di energia a buon mercato è destinata a diminuire nei prossimi decenni, con conseguenze devastanti sul nostro attuale modello economico11; la scala di ogni impresa umana è destinata a ridursi insieme alla disponibilità di energia. La previsione di una ulteriore espansione (esponenziale!) dei flussi di traffico, anche dopo il picco del petrolio, non è spiegabile se non con l’accecamento ideologico o la deliberata volontà di dirottare i finanziamenti sulle attività più redditizie per la lobby di banchieriimprenditori-politici, che lucra soprattutto sulle grandi opere totalmente finanziate dallo stato. 8 Il picco (in realtà un accidentato altipiano) è in atto da alcuni anni, ma è parzialmente mascherato dal recente boom dell’estrazione di gas e petrolio di scisto, soprattutto in USA e Canada. Lo shale oil è stato presentato da petrolieri e politici come la “rivoluzione energetica” del secolo, e salutato da economisti e lobbisti (letteralmente in preda al panico) con incredibile entusiasmo. Tuttavia gli esperti del settore (cfr. ad es. ASPO [19]) sanno benissimo che lo shale oil non risolverà affatto il problema, ma si limiterà a spostare il picco avanti di un paio di decenni. Per di più a prezzo di incalcolabili danni ambientali provocati da una tecnica di estrazione - il fracking, cfr. [23] - estremamente invasiva: danni talmente estesi e permanenti da rendere impensabile questo tipo di estrazione in zone dove sono presenti insediamenti umani. La sgradevole verità, cfr. ancora [19], è che la presunta “rivoluzione” ha tutte le caratteristiche di una bolla energetico-finanziaria: l’ennesima bolla finanziaria dopo quelle della new economy, dei subprime e dei derivati. Ma la più devastante di tutte per l’attuale modello di sviluppo basato sulla crescita infinita. 9 Circa il 95% della produzione mondiale attuale è direttamente o indirettamente connesso con la produzione di petrolio 10 Il prezzo va inteso non solo in termini economici, ma anche - e soprattutto - in termini energetici: perché ciò che effettivamente conta non è l’energia estratta da un terreno sempre più avaro, ma il rapporto fra l’energia estratta e l’energia spesa per l’estrazione. Questo rapporto, detto EROEI, è il parametro chiave per valutare fino a che punto il gioco vale la candela. L’EROEI degli idrocarburi da scisti presenta un declino estremamente rapido: di norma si riduce del 90% nei primi due anni, dopo di che il pozzo diventa improduttivo e va abbandonato. Di conseguenza, la compagnia è costretta a scavare altri pozzi. Sono necessari ritmi di trivellazione economicamente e ambientalmente insostenibili, con migliaia di pozzi aperti in rapida sequenza: esattamente lo “schema Ponzi” tipico di tutte le bolle finanziarie! 11 Il picco del petrolio è quello di più immediata evidenza, ma non è il solo. In effetti, tutte le risorse naturali (gas naturale, carbone, uranio, zinco, rame, litio, selenio, cadmio, piombo, argento, oro, ecc.) stanno avviandosi verso il loro inevitabile picco, previsto nel giro di poche generazioni. La prossimità di questi picchi, tra loro interconnessi, è una chiara indicazione del fatto che l’attuale modello economico, basato sulla crescita infinita del PIL e quindi della quantità di merci prodotte e scambiate, sta entrando in rotta di collisione con i limiti fisici del pianeta.  4 3. Traffico merci attraverso la Valsusa Ma i dati più strabilianti sono quelli della tabella 2, che si riferisce alla Valsusa, e della tabella 4, che si riferisce alla direttrice Valsusa-Bianco. La tabelle mostrano che in Valsusa - con o senza Bianco - più che di diminuzione si deve parlare di vero e proprio crollo. Infatti il traffico totale in Valsusa (22.7 Mt nel 1997, 13.6 Mt nel 201212) si è ridotto del 39% rispetto al 1997 e del 40% rispetto al 2004. In particolare, il traffico ferroviario (10.1 Mt nel 1997, 3.4 Mt nel 2012) si è ridotto addirittura del 66% rispetto al 1997 e del 47% rispetto al 2004 (tab.4, graf.4a). Pertanto la linea storica, tenendo conto anche dei treni passeggeri, è attualmente occupata per meno del 30% del valore di saturazione, valutato da LTF in 20 Mt/anno. Contrariamente alle affermazioni di Virano, anche il traffico stradale (lasciando perdere gli anni attorno al 2000, periodo di chiusura del Bianco) si è ridotto del 18% rispetto al 1997 e del 37% rispetto al 2004 (tab.2, graf.2). Anche il traffico sulla direttrice Valsusa-Bianco, di particolare interesse perchè cancella l’anomalia degli anni di chiusura del Bianco, si è ridotto del 36% rispetto al 1997 e del 20% rispetto al 2004 (tab.4, graf.4b). Se queste non sono le cifre di un crollo, allora di cosa si tratta? di una leggerissima flessione, come direbbe il rag. Fantozzi per non dispiacere al suo megadirettore galattico? Tuttavia, la scelta dell’Osservatorio di Virano è quella di tirare diritto con cieca determinazione, senza lasciarsi sviare dai fatti. I tecnici seri e competenti (gli ingegneri Tartaglia e Debernardi, ostinatamente indisponibili a ignorare i fatti) sono stati prima emarginati e poi cacciati; così tutto è rimasto nelle mani di Virano e di alcuni fidatissimi ing. Fantozzi, disposti anche a coprirsi di ridicolo pur di compiacere il loro megadirettore. 

Prima di illustrare le previsioni dell’arch. Virano e dei suoi fedelissimi ing. Fantozzi, è necessario conoscere le precedenti previsioni LTF relative alla ferrovia storica, che dopo più di una quindicina d’anni possono essere confrontate con i dati reali in modo valutarne la serietà e l’affidabilità. La prima previsione LTF risale al 1997 (fig.1), e prevedeva l’imminente saturazione della linea storica con conseguente “isolamento del Piemonte dall’Europa” (secondo questa previsione oggi dovremmo avere ampiamente superato la soglia dei 20 Mt, che è il valore di saturazione stimato da LTF). Invece i traffici reali non solo non aumentavano secondo le previsioni, ma al contrario diminuivano drasticamente13: dai 10.1 Mt del 1997 ai 6.4 Mt del 2004.  in entrambi i casi senza il Monginevro, perché non indicato nei tabulati Alpinfo prima del 1999  che un’estrapolazione lineare, anziché esponenziale, avrebbe spostato la possibile saturazione al 2065: troppo lontano nel tempo per dichiarare urgente e improcrastinabile l’inizio dei lavori della nuova linea. D’altra parte, l’ideologia della crescita infinita si basa sull’assunto che la crescita del PIL e dei flussi di merci (correlati al PIL

La seconda previsione LTF risale appunto al 2004. Costretta a prendere nota dei flussi reali di traffico, LTF modifica le precedenti previsioni, ma incredibilmente le modifica  lascia immutata l’impossibile curva esponenziale e si limita a traslarla di 7-8 anni! Senza nemmeno preoccuparsi di imporre una (una qualsiasi!) condizione di raccordo con la curva reale. Nessuno studente di ingegneria (ma neanche di scuola dell’obbligo) passerebbe un esame con una estrapolazione del genere. Conclusione: non potendo ovviamente dubitare della professionalità di un pool di ingegneri e architetti, non resta che prender atto del fatto che la previsione non è tecnica ma politica, e significa: “noi tireremo diritto indipendentemente dai flussi di traffico reali”.Nel frattempo, però, i flussi di traffico continuano a diminuire fino ai 3.4 Mt del 2011 (rimasti immutati anche nel 2012). A questo punto i proponenti (LTF, Osservatorio, Governo) decidono di reagire alla riluttante realtà con una nuova “previsione”, addirittura visionaria, che rinuncia a ogni inutile parvenza di scientificità. Dopo avere clamorosamente sballato tutte le previsioni precedenti, oggi l’Arch. Virano e i suoi fedelissimi si giocano quanto resta della loro reputazione scientifica con la seguente “previsione” 

“soltanto” (si fa per dire) raddoppiarsi sulla fondamentale direttrice nord-sud attraverso le frontiere svizzera e austriaca, e settuplicarsi sulla marginale direttrice est-ovest, dove è stagnante o in diminuzione da 16 anni.  L’Analisi Costi/Benefici (ACB) secondo LTF. Incredibile ma vero, l’Analisi Costi/Benefici (ACB), da cui dipende la decisione di fare o non fare l’opera, è stata presentata non prima ma dopo aver deciso di fare l’opera. E come sempre accade nella progettazione delle grandi opere, è estremamente “orientata” in favore dell’opera, con l’ovvia strategia di sovrastimare i benefici e sottostimare i costi; non certo per imperizia, ma per scelta strategica deliberata. Tutto normale, perchè una recente indagine condotta dalla Said Business School su 258 grandi progetti infrastrutturali in 20 nazioni di tutti i continenti mostra che questa è prassi consolidata ovunque, nei 70 anni considerati dallo studio18. La cosa non normale è la dimensione quantitativa della sovrastima dei benefici e della sottostima dei costi: un record mondiale. Benefici. Nonostante l’incredibile sopravvalutazione dell’aumento di traffico (tacciamo per carità di patria delle spettacolari previsioni di risparmio di tempo, smontabili da qualsiasi ragazzino della scuola media: cfr. ad es. [1] pag.14, [4] pag. 9), tuttavia la stima dei benefici diretti risulta trascurabile persino secondo l’ACB fatta da LTF. Il Van (“Valore attuale netto”: una tecnicalità da cui dipende l’esito dell’Analisi) dei benefici economici diretti rimane negativo, quali che siano le previsioni di traffico, fino al 2072, anno del possibile pareggio tra costi e benefici. Per ottenere un Van positivo è necessaria una generosa valutazione delle esternalità, cui sono attribuiti oltre il 99% dei benefici (cfr. [25]): caso assolutamente unico nell’ACB di tutte le opere pubbliche o private. Le esternalità più importanti a questo fine sono la (presunta) riduzione dell’incidentalità19 dovuta all’ipotizzato spostamento modale dalla strada alla ferrovia, e la (altrettanto presunta) riduzione di anidride carbonica20. Per quanto orientata in favore dell’opera, l’ACB commissionata dal soggetto promotore ammette esplicitamente che è proprio grazie a queste esternalità che è lecito prevedere “un volume di benefici netti tale da bilanciare, in un arco di tempo compreso tra l'avvio dei lavori e il 2073, i costi di investimento e gestione dell'opera” ([20], [15]). Per di più, gli eventuali vantaggi (soprattutto ambientali) saranno concentrati verso la fine del periodo! Costi. Coerentemente con la strategia sopra accennata, la stima dei costi è vaga ed elusiva. - Elusiva anzitutto l’architettura contrattuale e finanziaria, il cosiddetto project financing: un sistema per attingere soldi apparentemente privati, per es. dalle banche, ma in realtà totalmente garantiti dallo Stato21. Si tratta ovviamente di un enorme business per una miriade di Enti (imprese, società di consulenze, Spa, Srl,..) dove i politici, insieme a tecnici, appaltatori, lobbisti e faccendieri vari, si spartiscono ruoli decisionali molto ben retribuiti: presidenti, amministratori delegati, membri 18 Per es., il tunnel sotto la Manica ha ottenuto un ritorno dell’investimento (tecnicamente ‘Valore attuale netto’, abbreviato Van) negativo del 14.5% a causa della sovrastima dei benefici (volumi di traffico passeggeri e merci esageratamente sovrastimati) e sottostima dei costi (oltre 15 miliardi di euro a consuntivo, a fronte di un preventivo di 7,4). Il risultato è stato un crack di oltre 10 miliardi di euro: una catastrofe finanziaria che ha messo sul lastrico 741.000 piccoli investitori che hanno finanziato l’opera, allettati dalla promessa di rendimenti annui dell’ordine del 18%  Per ottenere un beneficio sufficientemente grande dalla riduzione dell’incidentalità, l’ACB non esita a ricorrere ad espedienti come questi: (1) nel caso in cui un incidente stradale si verifica in galleria il danno viene moltiplicato per uno spettacolare e ingiustificato fattore 25; (2) confrontando l’incidentalità tra modo ferroviario e modo autostradale, l’incidentalità stradale viene calcolata applicando i valori relativi alla rete stradale nazionale, ovviamente assai più elevati rispetto a quelli della rete autostradale. Per ottenere questo beneficio occorre sottostimare le emissioni da cantiere di CO2, che presentano valori così elevati da ridurre drasticamente i benefici dell’eventuale - e assai incerto - cambio modale, cfr. ad es. Federici [22] Discorso a parte per il tunnel transfrontaliero comune ai due Paesi, da S. Jean de Maurienne a Susa, che secondo Virano dovrebbe essere appaltato “da un unico promotore pubblico binazionale, con modalità e procedure unificate” e sperabilmente più trasparenti. Tuttavia anche in questo caso i privati non metterebbero un centesimo, tutto essendo come sempre a totale carico dello Stato. Ma la cosa più imbarazzante è la differenza tra il costo/km prevista per i due Paesi: 46 M€/km per la Francia, 235 M€/km per l’Italia (v. dopo). Alla faccia delle “modalità e procedure unificate”!di c.d.A., ecc. Un vero e proprio sistema di tangenti legalizzate, ideato negli anni di tangentopoli da Cirino Pomicino e poi perfezionato da Lorenzo Necci, il vero artefice del cosiddetto “modello TAV” come il sistema del post-tangentopoli: il sistema perfetto delle tangenti senza tangenti (cfr. [10], [11], [12], [13]). Un sistema che consente la quadruplicazione dei preventivi22 senza commettere illegalità formali! Come potrà pagare tutto questo uno Stato strangolato da un debito ormai del tutto fuori controllo? Naturalmente con l’unica moneta di cui potrà ancora disporre: ulteriori titoli di debito23. Come rileva anche la Corte dei Conti (cfr. par.8), il problema riguarda soprattutto le future generazioni, cui lasceremo in eredità un debito colossale, impossibile da saldare. - Elusivo l’ammontare dei finanziamenti europei, dati per certi nell’ACB ma in realtà tutt’altro che certi. In ogni caso, gli eventuali finanziamenti europei riguarderebbero solo la parte transfrontaliera, mentre la parte italiana è a totale carico dell’Italia. - Elusivi i costi a carico dell’Italia. Valutazioni indipendenti indicano in circa 20 miliardi (a preventivo!) il costo a carico dell’Italia, comprensivo di interessi intercalari e opere indotte. Le valutazioni LTF sono assai inferiori, ma del tutto inattendibili per la mancanza di un progetto definitivo nella popolatissima e trafficatissima piana tra Susa e Torino: nessun progetto per la tratta nazionale è stato approvato fino ad oggi, nemmeno preliminare. Per es., l’ACB non comprende i costi di vari tunnel, ecodotti e opere indotte, e neppure delle complesse opere in area metropolitana. In particolare, l’ACB non comprende né le opere di interconnessione con la linea storica nella piana di Susa, nè la “gronda merci” tra Orbassano e Settimo col famoso sottopasso di corso Marche: uno spettacolare e costosissimo (circa un paio di miliardi a preventivo) sistema a tre livelli sovrapposti, che presenta problemi tecnici e ambientali quasi insormontabili24 e dovrebbe coinvolgere qualcosa come 250.000 cittadini torinesi. Nell’ACB è infatti esplicitamente dichiarato (pag.25) che gli investimenti di più stretta competenza dei nodi ferroviari, tra cui la gronda merci del nodo di Torino e la gronda merci di Lione, sono esclusi dalla previsione di costo perché di competenza di altri capitoli di spesa. Attenzione: esclusi dai costi, ma valutati nei benefici della nuova linea! Uno dei tanti piccoli trucchi necessari perché il Van risulti non negativo. Sottopasso di Corso Marche, dal sito Regione Piemonte: 1,650 miliardi a preventivo (stima del 31/12/2008). L’impatto sulla città potrebbe essere, secondo l’ex-sindaco Chiamparino, molto più pesante che nelle valli alpine!  In realtà, nel periodo 1991-2010 il costo dell’intera AV finora realizzata (Torino-Milano-Roma-Napoli) è addirittura quintuplicato: dall’iniziale 9.4 M€/km, in linea con gli standard europei, all’attuale 51.1 M€/km Per decenni lo Stato, attraverso la TAV spa, ha fatto il possibile per nascondere i debiti, facendoli apparire privati per non incidere nel calcolo dei parametri del Patto di Stabilità; finchè l’UE, accortasi dell’imbroglio, ci ha imposto di far emergere i debiti occulti. Tuttavia i debiti, occulti o palesi, continuano a gonfiarsi e gli interessi a correre; e prima o poi il ministero dell’Economia dovrà restituire i prestiti delle banche. Con quali soldi? Ulteriori titoli di debito.  il progetto prevede l’interramento del tunnel ferroviario alla profondità di 40 metri, sia per passare sotto il fiume Dora, sia per evitare interferenze con la falda fognaria di una grande discarica (Basse di Stura, per chi conosce la zona) e di varie infrastrutture sotterranee metropolitane. Il problema è che a quella profondità il tunnel intercetta la riserva idrica che rifornisce i pozzi e il sistema idropotabile della città. L’Analisi Costi/Benefici (ACB) secondo Enti indipendenti La nuova linea Torino-Lione (NLTL) dovrebbe essere realizzata sulla base della previsione di traffico e sull’ACB fatta da LTF, la società responsabile degli studi di progetto e della conduzione dei lavori di ricognizione e discenderie sulla tratta internazionale: un caso clamoroso di conflitto di interessi. Le previsioni fatte da tutti gli Enti indipendenti danno risultato diametralmente opposto: la nuova linea non serve25. Limitiamoci per brevità alle più autorevoli perizie francesi. - La prima perizia fu commissionata dal Ministro dei Trasporti francese a Brossier e altri “saggi”del Conseil General des Ponts et Chaussées26, e resa pubblica nel 1998. Il rapporto Brossier conclude che “conviene intervenire sulla linea esistente”: affermazione tanto più significativa in quanto l’Audit ragiona sui dati 1997, quando i traffici ai valichi alpini italo francesi avevano raggiunto il massimo storico e potevano ancora illudere su di una loro crescita. - La seconda, il cosidetto “Audit” sui grandi progetti ferroviari, fu commissionata dal Governo alla Direction Generale des Ponts et Chaussées, e presentata alla Assemblea Nazionale nel 2003. L’analisi dell’Audit è particolarmente dettagliata, e la stroncatura della Torino-Lione assoluta. Le proiezioni presentate da LTF vengono giudicate inattendibili. L’Audit rileva che la capacità di trasporto dei nuovi itinerari svizzeri sarà in netta concorrenza con gli itinerari francesi, e conclude che “nell’orizzonte ventennale del 2023 al Frejus passerà un traffico molto inferiore [!!!] a quello del recente passato”. Pertanto l’Audit conclude che la NLTL non potrà essere economicamente autosufficiente: dunque non solo la costruzione della linea, ma anche l’esercizio e l’ordinaria manutenzione continuerà a essere a spese dei contribuenti. Quanto al trasferimento modale, l’Audit rileva che la NLTL sarà praticamente ininfluente nel rapporto gomma rotaia. L’ Audit fu presentato all’Assemblea Nazionale, ma non fu posto in votazione per l’opposizione dei deputati della regione Rhone Alpes, che minacciavano di ritirare l’appoggio al governo. - La terza è la celebre analisi di Rémy Prud’homme (2007), professore emerito presso l’Università di Parigi XII e uno degli esperti francesi più accreditati internazionalmente nella valutazione dell’analisi costi-benefici di opere pubbliche. Al termine di un’analisi tecnica serratissima, la conclusione è la seguente: “Il bilancio costi-benefici appare disastroso. Un Van negativo di 25 miliardi di euro è per definizione uno sperpero di 25 miliardi di euro. Il progetto non copre nemmeno i suoi costi di funzionamento. Non solo esso implica un aumento immediato del debito del governo francese e italiano di almeno 16 miliardi di euro [in valuta dell’epoca, n.d.t.], ma è destinato ad aumentare ogni anno, per 40 anni, il deficit di questi stessi governi.”  Le valutazioni delle Corti dei Conti, italiana e francese - Conclusioni della Corte dei Conti italiana (2008) su tutto il sistema dell’AV italiana:“Quel che è più grave, queste operazioni pregiudicano l’equità intergenerazionale, caricando in modo sproporzionato su generazioni future ipotetici vantaggi goduti da quelle attuali. La vicenda in esame è considerata dalla Corte paradigmatica delle patologiche tendenze della finanza pubblica a scaricare sulle generazioni future oneri relativi ad investimenti, la cui eventuale utilità è beneficiata soltanto da chi li pone in essere, accrescendo il debito pubblico in contrasto con i canoni comunitari”. Un durissimo atto d’accusa a tutto il “sistema Tav” italiano.  L’unica eccezione a noi nota è costituita dalla società di consulenze COWI, cui l’UE commissionò un rapporto nel 2006. COWI non realizza uno studio indipendente, ma si limita alla lettura e commento degli studi realizzati da LTF. La conclusione è molto critica sull’ipotesi di trasferimento modale dalla strada verso la rotaia previsto da LTF (“un’ipotesi ottimistica”), mentre sull’ipotesi di aumento di traffico si esprime in modo a dir poco ambiguo: “il traffico merci stimato da LTF per il nuovo collegamento è ragionevole posto che la crescita del traffico merci registrata da 20 anni continui per altri 25 anni”. Ovvero: l’ipotesi di aumento di traffico previsto da LTF è ragionevole a condizione che vengano accettate le stime di crescita del traffico delineate da LTF. Questa imbarazzante tautologia è considerata dai proponenti come la conferma definitiva da parte di un Ente indipendente  Si tratta del più alto livello della più alta autorità in materia di infrastrutture esistente in Francia. - Conclusioni della Corte dei Conti francese sulla NLTL: “secondo gli studi economici voluti nel febbraio 2011 da LTF sul progetto preliminare modificato, il Van risulta negativo in tutti gli scenari, che siano di crisi o di ripresa”. Una bocciatura senza appello alla NLTL. Nel frattempo, pur non avendo ancora iniziato lo scavo del tunnel, in seguito agli ultimi accordi Italia-Francia del 30/01/2012 il costo per l’Italia nella tratta transfrontaliera è già triplicato, passando (al netto dell'ipotetico contributo UE del 40%) dai 70 milioni/km del 2001 ai 235 milioni/km del 2012, record mondiale assoluto27; mentre per la Francia si è mantenuto praticamente costante intorno ai 46 milioni/km. Ma come è possibile un differenziale di costo così vistoso? Il conto è presto fatto (cfr. ad es. [2]). Il tunnel di base è lungo 57.1 km, di cui 45 in territorio francese e 12.1 in territorio italiano. Il costo del tunnel, secondo la stima attuale di LTF (inevitabilmente destinata a crescere), sarà di 8,2 miliardi. Dall’UE, se confermerà il contributo del 40%, dovrebbero arrivare 3.28 miliardi; in tal caso resterebbero 4.92 miliardi a carico di Italia e Francia. L’accordo-capestro con la Francia in data 30/01/2012 impone all’Italia di pagare il 58% di questo costo, ovvero 2.85 miliardi; che diviso per i 12.1 km di percorrenza in territorio italiano fornisce l’incredibile cifra di 235.5 milioni/km. Alla Francia tocca la rimanenza di 2.07 miliardi, che divisi per i 45 km di sua pertinenza fornisce la cifra di 46 milioni/km: circa 1/5 del costo chilometrico dell’Italia. In conclusione, l’Italia si accollerà la maggior parte del costo ma rimarrà proprietaria soltanto del 21% del tunnel, mentre la Francia si accollerà un costo inferiore e rimarrà proprietaria del 79% del tunnel! Cosa ci tocca fare per convincere i recalcitranti francesi, da sempre poco convinti della necessità e urgenza della nuova linea! Ma non è tutto: l’accordo-capestro del 30/01/2012 riserva anche altre sorprese. La parte comune, per cui è previsto il contributo europeo, comprendeva inizialmente anche il tratto Susa- Chiusa di San Michele attraverso il cosiddetto tunnel dell’Orsiera, per un totale di 18 km. Costo previsto da LTF: un paio di miliardi. Dopo gli ultimi accordi questo tratto è stato scorporato dalla parte comune, e quindi, se si farà, si farà interamente a carico dell’Italia: senza oneri per la Francia e senza contributo europeo. Il bello è che, siccome questa tratta dovrebbe essere realizzata in una (eventuale) seconda fase, e quindi avrebbe costo nullo nella prima fase, questo capolavoro diplomatico è stato propagandato da tutti i giornali come un grande affare per le casse dello Stato, e beffardamente battezzato “opzione low-cost”  Il cantiere di Chiomonte L’unico lavoro finora iniziato è lo scavo del cosiddetto “tunnel geognostico” di Chiomonte28: poche centinaia di metri di scavo e una devastazione ambientale impressionante (comprensiva della distruzione del sito archeologico, spianato dai cingolati dell’esercito), al costo di alcune centinaia di milioni. Milioni prelevati da altri capitoli di spesa:“dalla sicurezza delle scuole, dalle opere di risanamento ambientale, dall’edilizia carceraria, dalle infrastrutture museali ed archeologiche, dall’innovazione tecnologica e dalle infrastrutture strategiche per la mobilità”. La citazione non è tratta da qualche volantino anarchico-insurrezionalista, ma da un documento ufficiale: delibera CIPE 86/2010 del 6/4/11. Documento a dir poco imbarazzante perché certifica ciò che i notav sostengono da sempre: le risorse necessarie all’inutile Tav Torino-Lione sono sottratte alle vere necessità della popolazione. Persino la sicurezza delle scuole è sacrificata al tunnel geognostico!  la già astronomica cifra di 163.8 milioni/km riportata in [1] risulta, dopo accordi del 30/01/2012, sottostimata!  in realtà non si tratta affatto di un tunnel geognostico (anche perché esplora una zona della montagna diversa da quella che sarà attraversata dal tunnel di base), ma piuttosto di una discenderia. La differenza è che l’impatto di una discenderia è enormemente maggiore di un semplice cunicolo esplorativo (per definizione di impatto ridotto e reversibile). L’autorizzazione è stata concessa solo per il cunicolo esplorativo. La discenderia è tuttora priva di qualsiasi autorizzazione, ma si scava lo stesso. Illegalmente.  Il turismo invernale e la magastazione internazionale di Susa. Ciliegina sulla torta, è prevista anche una “stazione internazionale” tra Susa e Bussoleno. Una stazione lunga almeno un paio di km, necessari per l’interscambio con la linea storica e per parcheggiare treni merci lunghi 750 metri. Lontana dal centro di Susa e di impatto ambientale devastante: un groviglio multilivello (2 statali, 2 ferrovie, una stazione, un'autostrada ed un fiume) che riempirebbe letteralmente la stretta luce della valle alle porte di Susa. Il tutto in una valle alpina interessata al turismo: un paradosso tecnologico, un unicum planetario. Con quali prospettive di utilizzo? I viaggiatori che arrivano da Londra o Parigi per venire a sciare in Valle di Susa avranno due possibilità:  attraversare il traforo storico del Frejus e arrivare direttamente a Bardonecchia;  oppure attraversare i 57 km di traforo dell’Ambin, arrivare alla stazione internazionale di Susa, scendere con tutto l’ingombro di sci e bagagli, aspettare la coincidenza e prendere un treno normale o un pullman per risalire la valle fino a Bardonecchia. Nessun viaggiatore sano di mente farebbe questa scelta, eppure questa è la scelta “strategica” dell’Osservatorio di Virano Un’immagine della devastazione al cantiere di Chiomonte. A destra: plastico della stazione internazionale di Susa  L’ultima trovata: l’opzione “Low-Cost” Il primo a non prendere sul serio le previsioni “strategiche” dell’Osservatorio di Virano è lo stesso Virano, che non riuscendo a trovare gli enormi finanziamenti necessari per la grande opera ha deciso di ripiegare sul progetto “per fasi”, impropriamente detto “low-cost”. Cioè di limitarsi alla realizzazione del solo tunnel transfrontaliero (più la stazione internazionale). L’ovvio problema del progetto low-cost è che la portata della linea non dipende dalla tratta transfrontaliera29 ma dal resto della linea, ovvero dalle zone di pianura a maggiore criticità, con particolare riguardo al trafficatissimo nodo di Torino sul versante italiano e Chambéry sul versante francese; quindi il Tav low-cost non servirà a nulla per quanto riguarda le merci30 e si limiterà a consentire a un numero irrisorio di passeggeri di risparmiare, a costi astronomici, non più di 40 minuti31, perché la velocità di punta all’interno di un tunnel non può superare i 160 km/h e il resto del viaggio va sulla linea storica. Per avere il raddoppio della portata (le famose 39.9 Mt/anno previste per il 2035), che è lo scopo dichiarato dell’opera, sarebbe necessario che la linea venisse completata ben prima del 2035; ma questo completamento, a detta dello stesso Virano, può essere differito di 20-30 anni, durante i quali l’opera continuerebbe ad ospitare, con costi di gestione enormemente più elevati, un traffico la portata del tunnel di base è prevista intorno alle 30 Mt/anno, mentre quella del tunnel storico è di 20 Mt/anno secondo LTF (32 secondo i tecnici della Comunità Montana). La portata della linea storica tra Susa e Torino è stimata da LTF in 19.5 Mt/anno nella tratta Susa-Chiusa S.Michele, e diminuisce ulteriormente in prossimità del nodo di Torino  il tunnel storico, recentemente rimodernato, permette il passaggio delle sagome PC45 e, utilizzando i carri ribassati, anche delle sagome PC80, le più grandi in circolazione (peraltro troppo grandi per le normali linee ferroviarie). Non 80 minuti, come vantano i proponenti sbagliando come al solito i calcoli, ma la metà: 40. Casualmente, 40 minuti è esattamente il tempo che il TGV Parigi-Milano potrebbe risparmiare fin da subito, senza nessun intervento sulle infrastrutture, se fosse istradato sulla semideserta linea AV Torino-Milano: invece continua a viaggiare sulla linea storica a causa della mancata armonizzazione dei sistemi di segnalamento e sicurezza tra RFI e SNCF. identico a quello che può transitare sulla linea storica: non più di 20 Mt/anno. Allora qual è la logica di questa opzione? Nel fatto compiuto. Un tunnel costoso e sottoutilizzato sarebbe una forte motivazione a favore del completamento dell’opera, quali che siano i costi e i flussi di traffico. Ma la cosa più straordinaria, che denuncia in modo plateale la malafede dei propo-nenti, è che, mentre si propaganda l’opzione low-cost per minimizzare i costi, l’ACB si fonda invece sull’opzione alternativa (linea completa con decorrenza immediata) per massimizzare i benefici. Due opzioni dunque, mutualmente esclusive: la prima (linea low-cost) per rassicurare gli italiani, piuttosto sensibili all’argomento tasse; la seconda (linea completa) per assicurarsi i finanziamenti europei, perché l’ACB fatta da LTF risulta essere positiva, grazie a ipotesi fantasiose sull’aumento di traffico e sulla diminuzione dell’inquinamento e soprattutto degli incidenti32, soltanto con la linea completa. Generando benefici, sempre nelle speranze dei proponenti, dopo il 2035; benefici che supererebbero i costi verso il 2072. Questo nell’ipotesi puramente astratta della linea completa a decorrenza immediata, cioè operativa prima del 2035; procedendo invece “per fasi”, come da progetto, gli eventuali benefici si sposterebbero ancora più avanti nel tempo, addirittura verso la fine del secolo. Ma c’è di peggio, perché la procedura di gran lunga più probabile è lo “stop and go” tipo Salerno-Reggio Calabria: lavori periodicamente inaugurati, fermati per mancanza di soldi e riinaugurati a ogni tornata elettorale. Senza nessuna certezza di terminarli, e rinviando comunque ad altro secolo gli incerti benefici.  Un’alternativa: i TAV-bond! La nuova costosissima infrastruttura (20 miliardi a preventivo, forse il triplo a consuntivo), se realizzata e gestita a spese dello Stato, ci avvicinerebbe ad Atene assai più che a Parigi. Ma forse potrebbe esserci un’alternativa: il finanziamento privato! Infatti, sul finire del 2011 compariva sul Sole-24ore la notizia-bomba che l'amministratore delegato del gruppo FS, Mauro Moretti, aveva dichiarato che a inizio 2012 sarebbe stato pronto lo schema di emissione di bond per 4-5 miliardi di euro destinati a finanziare gli investimenti per le infrastrutture dell’AV esistente. Grande idea, da estendere subito alla nuova linea Torino-Lione in progetto: i piccoli investitori non vedono l’ora. Infatti, se fossero coerenti, i si-TAV dovrebbero contendersi i TAV-bond di un’opera che considerano fondamentale, strategica, da non perdere per nessun motivo. Si tratta di privati cittadini, naturalmente, ma anche delle Regioni interessate all’opera, che dovrebbero impegnarsi ad acquistare una certa percentuale di TAV-bond: questa volta, però, senza garanzia statale per il capitale, per non incorrere nelle sanzioni dell’UE. Grande idea davvero, solo con un piccolo problema: nessuna speranza di vendere un solo TAV-bond! Perché nemmeno i si-TAV più coerenti e intransigenti ignorano la triste sorte degli azionisti del tunnel sotto la Manica: i bond sottoscritti da 741.000 piccoli risparmiatori che, allettati dalla promessa di eccezionali rendimenti, hanno creduto nella grande opportunità offerta da Eurotunnel, si sono praticamente trasformati in carta straccia nel giro di un decennio. E si tratta di un tunnel utile, importante, questo sì “strategico”; per di più realizzato in modo ammirevole (niente subappalti alla mafia!). Si tratta di un tunnel attualmente percorso da un numero di viaggiatori incomparabilmente maggiore di quello previsto per la Torino-Lione. E tuttavia si tratta di una catastrofe economica! Nessuna meraviglia, dunque, se dei TAV-bond di Moretti non si è più sentito parlare. Dunque l’alternativa non esiste: quest’opera, se si farà, si farà interamente a debito. Costi pubblici e guadagni privati, per di più con la possibilità di far lievitare i costi al di fuori di qualsiasi controllo: “il ‘sistema Tav’ è stato, è e sarà la più grande causa del debito pubblico italiano” (Luca Giunti, “Il parlamento deve sapere” [25]) 32 Peraltro la diminuzione degli incidenti, obiettivo strategico fondamentale per ottenere un Van positivo, potrebbe essere banalmente ottenuto con un po’ di cartelli segnaletici con limiti di velocità leggermente ridotti, e un numero adeguato di pattuglie di polizia stradale per far rispettare i divieti.PARTE SECONDA Alternative per il lavoro in ottica neokeynesiana Riassumendo: non ci sono passeggeri né merci che possano giustificare l’opera; la stazione internazionale di Susa potrà competere con la stazione sotterranea AV di Firenze per il titolo della più stupida (e costosa) del pianeta; le problematiche ambientali, per le quali rimandiamo ad altri lavori (cfr. ad es. [1], [4]), fanno rabbrividire. Queste cose, benché ignote ai lettori dei grandi quotidiani nazionali, sono note anche all’ultimo dei valsusini. Eppure anche in Valsusa c’è chi tuttora non si piega alle ragioni della logica e del buon senso e ostinatamente insiste: tutto vero, ma il Tav si deve fare lo stesso. Perché? Perché in tempi di crisi va bene qualunque opera, non importa se utile o inutile, basta che sia in grado di dar lavoro. Effettivamente il grande economista Keynes, cui si richiamano i fautori delle grandi opere, amava esprimersi così: “in tempi di crisi, va bene anche pagare i lavoratori per scavare buchi e poi riempirli”. Ma sicuramente non immaginava che un giorno qualcuno, invece di coglierne lo spirito dietro la battuta ironica, lo avrebbe preso alla lettera! Proviamo a metterci in una corretta ottica keynesiana (opere a minima intensità di capitale e massima intensità di mano d’opera), e vediamo se davvero il Tav potrebbe risolvere il problema del lavoro, o se per caso si possono individuare altre scelte più idonee allo scopo. Il Tav completo (tratta internazionale + tratta italiana) potrebbe dar lavoro, a costi spropositati e in condizioni ambientali difficilmente accettabili (per i lavoratori e soprattutto per la valle), a non più di 2000 persone (in gran parte immigrati da altri paesi), più un modesto indotto di non più di 4000 persone33 (cfr. [3], [16]): una vera miseria, a fronte di un preventivo di 20 miliardi! Che naturalmente non ci sono: l’opera sarebbe fatta totalmente a debito, con l’ovvio risultato di incrementare ulteriormente il nostro abnorme debito pubblico. Possibile che non ci siano altre possibilità di lavoro, a minore intensità di capitale e maggiore intensità di mano d’opera? Senza indebitare i nostri figli e nipoti per i prossimi cinquant'anni con un'opera inutile e dannosa? La risposta è ampiamente positiva: è solo una questione di scelta politica, questa sì “strategica”. C’è un’infinità di modi di spendere bene i pochi soldi pubblici che ci sono (o i pochi debiti che ci possiamo ancora permettere), facendo cose utili e dando lavoro al maggior numero possibile di persone. Eccone alcuni. Investimenti e posti di lavoro secondo la Green Economy (fonte: WWF) La green economy (quella vera, non quella fasulla della Confindustria!) potrebbe produrre in Europa migliaia di posti di lavoro a fronte di investimenti relativamente contenuti34. È la principale conclusione che emerge dal report "Investire sul futuro: più posti di lavoro con un bilancio dell'Unione Europea più verde" [8], redatto dal WWF e da altre ONG internazionali in occasione dell'anniversario del Protocollo di Kyoto. In particolare, il rapporto indaga quanti posti di lavoro potrebbero essere generati da progetti in infrastrutture sostenibili, tra cui: (1) lavori di ristrutturazione e riconversione energetica, che potrebbero riavviare l’attività edilizia in opposizione alla logica finora imperante, che associa l’attività edilizia alla cementificazione selvaggia del territorio35; (2) cura e manutenzione delle strutture esistenti (ferrovie, scuole, strade, ponti, carceri, ecc.) e del territorio, cfr. progetto Anbi più avanti;  Nella conferenza di presentazione di Virano del 26 aprile 2012, i posti di lavoro dichiarati sono 1850, quelli dell’indotto 5800 per tutta la durata dell’opera (420 i posti permanenti). In compenso i camion “eliminati dalla strada” aumentano di ben 100.000 unità e diventano 700.000 (cfr. La Stampa [16])  A condizione di usare cautela con gli incentivi, che nel nostro paese rischiano di incentivare soprattutto la finanza, le multinazionali e la criminalità organizzata. Un incentivo raccomandabile sarebbe l’obbligo per le banche di concedere finanziamenti agli utenti a tasso agevolato (euribor+1%), in modo da trasferire immediatamente i risparmi sulla bolletta. E poi vigilare sul rispetto dell’obbligo, perché le banche impongono di norma tassi ben più elevati a dispetto delle leggi  Per dare un’idea, negli ultimi 8 anni l’incremento della superficie cementificata della Lombardia è stato pari a 8 volte la superficie di una città come Brescia. Una nuova Brescia all’anno nella sola Lombardia! (3) programmi ambientali in agricoltura. Posti di lavoro creati dalla Green Economy. Secondo le stime contenute nello studio [8], investendo un miliardo di euro in infrastrutture sostenibili si potrebbero originare in media 29.000 posti di lavoro (comprensivi dell’indotto): in particolare, 25.900 posti di lavoro sarebbero disponibili nel comparto del risparmio energetico - soprattutto edilizio - e addirittura 52.700 nel settore delle energie rinnovabili36. Ripetendo l’investimento per 20 anni, 20 miliardi di euro potrebbero generare 29.000 posti di lavoro per 20 anni. Il rapporto posti di lavoro/capitale investito sarebbe dunque dell’ordine di 1500 posti (comprensivi dell’indotto) per miliardo investito: rapporto destinato a crescere nel tempo nel settore delle rinnovabili anzitutto perché l’investimento (cioè il costo per MW degli impianti fotovoltaici) è destinato a scendere con l’ampliarsi della produzione e il miglioramento delle tecnologie, e in secondo luogo perché i posti di lavoro tenderebbero a diventare stabili, cioè a mantenersi sul mercato senza bisogno di rinnovare ogni anno l’intero ammontare dell’investimento. E’ importante sottolineare che i posti di lavoro nell’ambito del fotovoltaico non sono collegati soltanto alla produzione dei moduli, ma anche a tutte quelle attività che comprendono l’installazione, il funzionamento e la manutenzione degli impianti, oltre che le operazioni di finanziamento e vendita di energia elettrica: si stima che questi posti di lavoro indotti, estremamente diffusi sul territorio, dovrebbero essere oltre il 50% dei posti di lavoro totali, per di più con tendenza alla crescita. Lo svilupparsi del fotovoltaico avrebbe inoltre rilevanti conseguenze occupazionali di altro tipo, soprattutto per quanto riguarda la ricerca scientifica e tecnologica. Un’alternativa di particolare interesse è la messa insicurezza dell’intero territorio, come ripetutamente proposto dall’Anbi (v. prossimo paragrafo). L’Anbi valuta che ogni miliardo di investimento in manutenzione del territorio crea 7.000 nuovi posti di lavoro, senza considerare l’indotto (difficile da stimare). Il rapporto posti di lavoro/capitale investito (20 miliardi per 20 anni) sarebbe dunque dell’ordine di 350 posti (senza l’indotto) per miliardo investito. C’è di più: questo rapporto, per quanto interessante, è nettamente sottostimato perché non tiene conto del valore monetario dei danni materiali che sarebbero evitati: “intervenire in prevenzione idrogeologica significa risparmiare l’80% dei circa 3 miliardi spesi annualmente per riparare danni, evitando lutti che, dal 1900 ad oggi, hanno significato 10.000 morti per frane e alluvioni” (Anbi [9]). E dopo i 20 anni? Dopo, lasceremmo ai nostri discendenti un’eredità permanente di agricoltura sostenibile, cura del territorio, produzione di energia rinnovabile e risparmio energetico. Un lascito inestimabile quando, trascorsi i 20 anni, non sarà più possibile ignorare o rinviare il problema della crescente indisponibilità di petrolio e in generale di energia non rinnovabile a costi economicamente sostenibili. Lasceremmo una cultura di ammodernamento, manutenzione e ottimizzazione delle linee ferroviarie esistenti, evitando la concentrazione abnorme del traffico su poche dorsali privilegiate e dando priorità alla prossimità e rilocalizzazione dell’economia. Insomma, lasceremmo il germe di un modello di sviluppo ambientalmente e socialmente sostenibile (cfr. [24], [26]). Tutto ciò va iniziato subito, perché la quantità totale di petrolio accessibile è finita e anche piuttosto ben nota: più si prolunga la durata del “picco (o altipiano) del petrolio”, più ripida e drammatica sarà la discesa. Forse una catastrofe epocale, se non si interviene a tempo debito. Posti di lavoro creati dal Tav. Nel caso del Tav (linea completa), LTF afferma che 20 miliardi spalmati su 20 anni potrebbero generare circa 2.000 posti di lavoro (in gran parte di scarsa qualificazione professionale, dunque affidati a immigrati) più 4.000 di indotto per la durata dei lavori (20 anni). Molto meno di 30.000, per di più con molte rilevanti criticità. La prima fondamentale criticità è che i 20 miliardi stimati a preventivo per l’intera linea sono destinati, nel corso degli anni, a moltiplicarsi per un fattore che in Italia finora è sempre variato, per tutte le linee AV, tra 3 e 6: nell’improbabile caso che questa risulti essere, nonostante le enormi difficoltà tecniche, ambientali e sociali, la più virtuosa tra tutte le linee AV mai realizzate in Italia, è impensabile che si riesca a scendere al di sotto di un virtuosissimo fattore 2, ovvero al di sotto di 40  Greenpeace ha valutato che per ogni MW di moduli prodotti e installati vengono creati 30 posti di lavoro stabili  15 miliardi di euro a consuntivo. Il rapporto posti di lavoro/capitale investito sarebbe dunque dell’ ordine di 50 posti non comprensivi dell’indotto, oppure 150 posti comprensivi dell’indotto, per miliardo investito: circa un ordine di grandezza in meno rispetto alle proposte WWF/Anbi. Una seconda ovvia criticità deriva dal rischio assai concreto della procedura “stop and go”: tempi di realizzazione imprevedibili, cantieri infiniti (cfr. ad es. la fantascientifica stazione AV di Afragola: appaltata per 80 milioni di euro, attualmente è uno scheletro di ferro e cemento abbandonato alla ruggine e al degrado), nessuna certezza di vedere mai la fine dell’ opera. Una terza riguarda i danni ambientali alla valle (una sorta di super-Mugello annunciato); una quarta il probabile progressivo degrado della linea storica, per via dell’enorme voracità finanziaria della nuova linea (già oggi la rete esistente dell’AV sottrae risorse vitali al resto della rete ferroviaria); e così via. E dopo, ammesso che l’opera arrivi un giorno al suo termine? Dopo, che cosa lasceremmo ai nostri discendenti? Un’opera inutile, un territorio devastato e un’eredità permanente di debito. Infatti, dato l’insufficiente numero di passeggeri e quantità di merci scambiata, “non solo la costruzione della linea, ma anche l’esercizio e l’ordinaria manutenzione continuerà a essere a spese dei contribuenti” (Audit 2003). Come recentemente confermato (2011) anche dalla Corte dei Conti francese.
Ma perché, si chiederà l’ingenuo lettore, tanta ostinazione
 “Perché dovrei star lì a preoccuparmi per i miei discendenti? In fondo, cosa hanno fatto loro per me?” (Woody Allen) Bibliografia essenziale [1] “Una soluzione in cerca di problema”, documento della Comunità Montana Valsusa-Sangone
 Cicconi: “Suggerimento al governo tecnico.
Tav Torino-Lione: domande e risposte: documento governativo
Tav Torino-Lione: domande e risposte: risposta della Comunità Montana al documento  http://www.notavtorino.org/documenti-02/osservaz-commis-tecn-a-doc-govern-29-3-12.pdf
 Rémy Prud’homme, “Essai d’analyse de l’utilité sociale du tunnel Lyon-Turin”
WWF Report “Investing for the future: more jobs out of a greener EU budget”
 tent=1; breve estratto in italiano
 Barbacetto,
Imposimato, Pisauro, Provvisionato, “Corruzione ad Alta Velocità”, Koiné, 1999 Cancelli,
Asca 26/4/2912
 La Stampa 27/4/2012
 Videomessaggio di Mario Ciaccia
  Report Anbi 2010
  Aspo 23/5/2013 
 Quaderno 8 (ACB)
 Cancelli
 Federici, Ulgiati, Barosi: “Analisi termodinamica integrata dei sistemi di trasporto..”
Fracking,
 MDF
 “Il parlamento deve sapere”
E.Goldsmith, J.Mander, “processo alla globalizzazione”, Arianna ed., 2003  19 

Note: la punta massima si riferisce al traffico del 2007, che precede immediatamente l’esplosione della grande crisi finanziaria del 2008. Secondo l’Osservatorio questa crisi, che sta mettendo in ginocchio l’economia del pianeta, altro non è che una “normale” crisi congiunturale: grave, ma non abbastanza grave da alterare lo scenario a media-lunga scadenza preferito, il cosiddetto “scenario del decennio perduto”. Questo scenario afferma che la ripresa dell’economia europea avverrà nel giro di un decennio e riporterà ai tassi di crescita precedenti la crisi. Il grafico 5b, relativo ai flussi nord-sud, differisce nettamente dal grafico 1, relativo ai flussi est-ovest, per la parte precedente il 2007: basta un colpo d’occhio per verificare che nel decennio 1997-2007 i flussi est-ovest sono in (lieve) calo, mentre i flussi nord-sud sono in (forte) crescita. Ma dopo il 2007 l’andamento dei due grafici è perfettamente sovrapponibile, come è evidente anche dal grafico 5a: il quinquennio 2007-2012 è un periodo di decrescita generale per tutti i flussi, sia sulla direttrice est-ovest che sulla direttrice nord-sud. Segnale più che evidente del carattere globale, e non locale, della crisi in atto e delle sue conseguenze in ambito trasportistico.**