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02 novembre 2014

Gli americani vogliono l'oro nero di Leuca



SACCHEGGIO CONTINUO DELLE RISORSE E DEL TERRITORIO ITALIANO DA PARTE DEGLI IMPERIALISTI AMERICANI !!

E NON DITEMI CHE L'ITALIA NON E' UNA COLONIA DEGLI USA !!

Gli americani vogliono l'oro nero di Leuca.La corsa al tesoretto nero delle coste pugliesi non si ferma di fronte a Santa Maria di Leuca “De Finibus Terrae”, il suggestivo punto più a sud della Penisola, meta di pellegrini e terra di leggende. Le richieste di prospezione per la ricerca di petrolio in mare, arrivate a 19 comuni del Sud Salento, notizia delle ultime ore, sono il triplo rispetto a quelle inizialmente trapelate. Non più uno, ma tre sono i permessi richiesti per cercare petrolio nel mare di Leuca. E triplica anche l’area interessata ipotizzata nelle scorse ore: si passa da 749 a 2.207 chilometri quadrati. La novità emerge dalla documentazione depositata presso il Ministero dello Sviluppo economico, che ha avviato l’istruttoria il 30 ottobre scorso. Lo confermano i fascicoli e dvd giunti nei giorni scorsi negli uffici e nei comuni salentini, tutti quelli rivieraschi da Otranto a Gallipoli: Tricase, Gagliano del Capo, Ugento, Racale, Alessano, Castrignano del Capo, Taviano, Andrano, Diso, Otranto, Morciano di Leuca, Patù, Tiggiano, Gallipoli, Alliste, Salve, Santa Cesarea Terme, Castro, Corsano. A chiedere di sondare il fondale dello Ionio Settentrionale è l’americana Global Med Llc., società con sede in Colorado ma attiva anche e soprattutto nei paesi in via di sviluppo, che ora punta al Salento.

La storia di Davide contro Golia però, qui non tiene. Il braccio di ferro infatti non è tra i piccoli comuni e le multinazionali ma tra idee di sviluppo: quella glocal e ambientalista sposata dalla regione Puglia (e non solo) contro le strategie energetiche del governo nazionale. Non è un mistero che diversi ministri, a partire dalla Guidi, e lo stesso Renzi sono dell’opinione che l’Italia non può autoescludersi dalle ricerche in Adriatico se gli altri paesi rivieraschi, con la Croazia in testa, puntano sul petrolio: in tal caso, l’Italia porterebbe a casa i danni ma non i benefici. E i grandi gruppi questo lo sanno, a tutte le latitudini. L’area interessata del Sud Salento abbraccia tre diversi specchi d’acqua contigui, a sud est di Capo Santa Maria di Leuca. Una frammentazione esistente, in realtà, solo sulla carta, dovuta al fatto che i titoli minerari rilasciati non possono superare l’ampiezza di 750 chilometri quadrati. Dunque, si spezzettano gli iter, ma si cumulano gli effetti.

In realtà, uno dei tre fondali da esplorare è conteso. E per questo è ancora ferma la relativa istruttoria, che per gli altri due progetti è invece già avviata. L’area interessata è posizionata pochi chilometri a nord delle precedenti, dunque ancora più vicina alla costa, e su quella hanno presentato richiesta di rilascio del permesso contemporaneamente due operatori: la stessa Global Med e il tandem Petroceltic Italia ed Edison. È il motivo per cui quella stessa istanza ha una doppia denominazione, “d 91 F.R-.GM” e “d 84 F.R-.EL”. Dovrà essere il Ministero dello Sviluppo Economico, ora, a porre fine alla concorrenza, attraverso il rilascio del titolo minerario, che per definizione è esclusivo. Dunque, fino ad allora, non sarà possibile avviare lì alcun rilievo geofisico. A tenere uniti i tre progetti non ci sono solo la prossimità geografica e la stessa società petrolifera, che finora ha cavato oro nero da Nuova Zelanda, Marocco, Cina, Belize e Sud Africa. Con l’esplorazione si chiede di acquisire centinaia di chilometri di linee sismiche 2D mediante tecnologia air gun e di effettuare eventuali rilievi geofisici 3D. Significa che, se dovessero andare in porto tutti e tre gli iter, si adotterà la tecnica che consente di raccogliere informazioni sulla composizione del fondale marino attraverso spari forti e continui di aria compressa che, ogni 5 o 10 minuti, mandano onde riflesse da cui estrapolare i dati.

Una metodologia finita sotto accusa per gli impatti che provocherebbe all’ambiente e, soprattutto, ai cetacei che perderebbero l’orientamento. Una volta depositate le richieste ci sono meno di due mesi per opporsi: il termine entro cui presentare osservazioni scade il 22 dicembre. Le nuove istanze si aggiungono alla miriade già depositate al Ministero dello Sviluppo economico, comprese quelle nei comuni pugliesi dell’Adriatico arrivate negli scorsi anni da due diverse società, la Northern Petroleum, poi bloccata da un ricorso al Tar. E dall’australiana Global Petroleum Limited, che aveva depositato richieste per l’intera costa adriatica: Giovinazzo, Bari, Mola, scendendo a Polignano, Monopoli, Fasano, Carovigno, Brindisi, San Pietro Vernotico e Torchiarolo. E successivamente anche a Lecce. La Gl ha già incassato lo scorso 14 ottobre il “no” della commissione Via regionale. Ma il parere dell’ente rischia di diventare del tutto accessorio con le norme contenute nello “Sblocca Italia”, soprattutto attraverso il contestato articolo 38, che attribuisce un carattere strategico alle concessioni di ricerca e sfruttamento di idrocarburi, semplifica gli iter autorizzativi, toglie potere alle regioni e prolunga i tempi delle concessioni. La Puglia, il cui Consiglio regionale si era già espresso lo scorso giugno e poi di nuovo a ottobre in una seduta allargata anche ad ambientalisti e parlamentari, proprio in vista del voto in Aula del decreto, darà battaglia anche davanti alla Corte Costituzionale. Insieme ad Abruzzo, Marche e Molise, la regione ha infatti deciso di impugnare lo sblocca Italia e il prossimo 11 novembre incontrerà anche la Regione Basilicata per pianificare “azioni comuni”. Tra le due regioni, infatti, esiste un filo nero che si chiama Tempa Rossa. Il progetto di raddoppio del sito di stoccaggio e movimentazione del greggio lucano a Taranto, su cui il Comune jonico ha convocherà a breve un Consiglio monotematico che, come sempre, si troverà a fare i conti con le due istanze simbolo del territorio: il diritto alla salute e quello al lavoro.

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